La maturazione del nuovo linguaggio. La lezione digitale
Rientrato a Firenze dall’esilio padovano, Cosimo de’ Medici assume il controllo della città, inaugurando una fase di stabilità politica sotto la dinastia medicea. Le innovazioni introdotte da Brunelleschi, Donatello e Masaccio vengono gradualmente assimilate da una seconda generazione di artisti come Filippo Lippi, Paolo Uccello, Domenico Veneziano e Andrea del Castagno, mentre una nuova arte di corte trova espressione con Benozzo Gozzoli.
Le grandi innovazioni, per affermarsi, devono essere recepite e assimilate, in un inevitabile confronto con la tradizione. È questo il ruolo degli artisti che, formatisi nell’ambito della tradizione, intendono far proprie istanze “moderne” come la riscoperta dell’arte classica, la centralità attribuita all’uomo, una concezione della bellezza come espressione di ordine razionale e non come semplice ornamento, una adesione alla realtà che passa attraverso l’introduzione della prospettiva e lo studio della luce, quindi non più limitata alla resa del dettaglio.
In questo modo giunge a maturazione quell’insieme di temi, di ricerche e soluzioni espressive che costituisce il nuovo linguaggio dell’arte in epoca rinascimentale.
Dentro l'opera. Il Corteo dei Magi di Benozzo Gozzoli
Per la decorazione della cappella privata del proprio palazzo, i Medici compiono una scelta imprevedibile affidandosi a Benozzo Gozzoli, artista formatosi presso Ghiberti e l’Angelico, che ha mantenuto nel suo stile il decorativismo tardogotico. La ripresa del tema dei Magi – ricorrente nella Firenze del periodo – fa parte di una strategia comunicativa della famiglia egemone. Per realizzare il disegno di un governo dinastico della città, i Medici cercano di accreditarsi come illuminata guida della repubblica fiorentina, esente da tentazioni tiranniche. Si identificano quindi con i Magi, che alla testa di un corteo con tutta la popolazione al seguito compiono il cammino di “un buon governo”.
Un passo in più. Luca della Robbia, artista e imprenditore.
Giorgio Vasari, nell’edizione del 1568 de Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori, trattando della Vita di Luca della Robbia scultore descrive con queste parole la svolta che l’artista seppe dare alla sua attività professionale:
Ma perché, fatto egli conto dopo queste opere di quanto gli fusse venuto nelle mani e del tempo che in farle aveva speso, conobbe che pochissimo aveva avanzato e che la fatica era stata grandissima, si risolvette di lasciare il marmo et il bronzo e vedere se maggior frutto potesse altronde cavare. Per che, considerando che la terra si lavorava agevolmente con poca fatica, e che mancava solo trovare un modo mediante il quale l’opere che in quella si facevano si potessono lungo tempo conservare, andò tanto ghiribizzando che trovò modo da diffenderle dall’ingiurie del tempo; per che, dopo avere molte cose esperimentato, trovò che il dar loro una coperta d’invetriato addosso, fatto con stagno, terra ghetta, antimonio et altri minerali e misture, cotte al fuoco d’una fornace a posta, faceva benissimo questo effetto e faceva l’opere di terra quasi eterne. Del quale modo di fare, come quello che ne fu inventore, riportò lode grandissima e gliene averanno obligo tutti i secoli che verranno.
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